Nei giorni scorsi Piercamillo Davigo ha definito ANAC e l’anticorruzione un’arma di distrazione di massa, citando l’esempio dei famosi piani anticorruzione copiati da una pubblica amministrazione (che di qui in poi chiameremo PA) all’altra senza neanche cambiare il nome. A partire da questo stimolo molto forte proviamo a fare una riflessione per capirne le motivazioni.
Quando nel dicembre 2012 è stata approvata la legge 190 anticorruzione di fatto in Italia nessuno aveva mai parlato di poter svolgere una reale attività di prevenzione del fenomeno, soprattutto nella pubblica amministrazione. Cosa che avveniva già da anni in altre nazioni.
Molti magistrati hanno sempre sostenuto che la sola azione della magistratura non sarà mai sufficiente per vincere l’azione della corruzione e delle mafie. E la legge 190 voleva andare proprio in quella direzione. Costruire degli argini, in grado di anticipare i problemi, senza dover far intervenire un magistrato per sistemare eventuali distorsioni. Per fare un esempio è come se l’unico intervento medico fosse quello dei chirurghi: il vero lavoro da fare è capire il perché si arriva a dover far intervenire un chirurgo e quindi mettere in piedi campagne di prevenzione sull’intera popolazione, quella che viene chiamata prevenzione primaria. Anche nel caso di corruzione e mafie vige la stessa regola: bisogna intervenire prima che il problema arrivi alla magistratura.
E il meccanismo dell’anticorruzione tutto questo lo prevede in modo chiaro attraverso il percorso della gestione del rischio. Fare una diagnosi dei problemi a partire dal contesto in cui si opera e mettere in campo misure di prevenzione. In alcune PA questo sistema ha funzionato, forse nella maggior parte non ancora in modo adeguato. O si attua realmente quanto previsto dalla norma iniziale o il tutto rimane un inutile castello di carte.
Oggi tutte le PA hanno una figura che ha il compito e la responsabilità di mettere in piedi politiche per prevenire il fenomeno, il responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza. Questa figura, dove ha funzionato, lo ha fatto sicuramente contro la piccola e media corruzione. Il principale problema è quando invece sono coinvolte figure apicali, le stesse che nominano questa figura. La norma già prevede una sua tutela ma di fatto, e questa è l’esperienza di molti responsabili anticorruzione, più gli schemi corruttivi si fanno grandi e complessi e più aumenta la solitudine di queste figure. In alcuni casi ANAC è intervenuta sulla legittimità della loro revoca, ma in ogni caso questo rimane uno dei principali punti deboli dell’intera costruzione. Un altro problema è quello delle risorse messe a disposizione di queste figure, che in molti casi ricoprono più ruoli e non hanno il tempo e la forza per questa attività di prevenzione.
Vi sono aree della sanità in cui i problemi sono evidenti. Una è quella della formazione degli operatori sanitari, saldamente in mano all’industria farmaceutica e dei dispositivi biomedicali. Come se una impresa privata facesse organizzare e pagare la formazione ai suoi fornitori. È evidente che si possono creare delle storture. Qui una possibile soluzione potrebbe prevedere in fase di appalto uno sconto sui prezzi di acquisto che le aziende sanitarie potrebbero dedicare alla formazione dei loro professionisti. Fatta magari anche in collaborazione con le società scientifiche. L’altro punto quasi completamente in mano all’industria è quello della ricerca con tutte le distorsioni del caso, come molta letteratura internazionale mostra chiaramente.
In termini di lotta alla burocrazia i responsabili anticorruzione dovrebbero avere un ruolo più incisivo verificando la reale applicazione della normativa e delle regole interne alla PA. Sono chiare le norme, regolamenti e procedure che devono essere applicate? Sono chiari i controlli da mettere in campo? I controlli esistono? Sono efficaci? Si possono semplificare? I passaggi burocratici si possono ridurre? Sono molte le cose che si possono fare in questo ambito.
Un altro punto riguarda la trasparenza, uno strumento fondamentale per la prevenzione del fenomeno. Purtroppo nella maggior parte dei casi ancora vista come un adempimento burocratico e non come uno strumento per migliorare le organizzazioni dal loro interno. Tornando all’esempio degli appalti, i dati ora sono disponibili ma non li usiamo ancora in modo adeguato per anticipare le distorsioni dei mercati.
In ultimo, il tema più importante secondo tutti gli esperti, riguarda il cambiamento culturale rispetto al bene comune, nel nostro caso alla salute delle persone. Possiamo e dobbiamo investire molto di più per favorire questo cambiamento a partire dai giovani che stanno per entrare a lavorare nel sistema sanitario e sociale. E i singoli responsabili anticorruzione da soli fanno fatica farlo.
Ha ragione chi sostiene che sinora in pochi hanno guardato alla sostanza delle attività di prevenzione della corruzione svolte nelle singole amministrazioni e anche ANAC è riuscita poco in questo, forse non avendo neanche la forza per farlo. Nel caso del mondo della sanità forse l’Autorità anticorruzione avrebbe potuto avere un maggior aiuto da altre istituzioni sanitarie. Per il futuro si potrebbe pensare ad istituire una commissione o una struttura nazionale che entri maggiormente nello specifico delle singole aree a rischio di corruzione, favorendo la diffusione delle buone pratiche e verificando le situazioni in cui questo impianto di prevenzione non funziona.
La strada è quella giusta, si tratta di spingere per trovare le soluzioni ai problemi esistenti.
Massimo Brunetti
Vice Presidente AIIS
Associazione Italiana Integrità della Salute